MARCELLA VANZO
TO WAKE UP THE LIVING, TO WAKE UP THE DEAD
A CURA DI MATTEO BERGAMINI
OPENING VENERDÌ 8 MARZO 2019, DALLE 18
FONDAZIONE BERENGO – PALAZZO CAVALLI FRANCHETTI
SAN MARCO, 2847, VENEZIA
TO WAKE UP THE LIVING, TO WAKE UP THE DEAD
A CURA DI MATTEO BERGAMINI
OPENING VENERDÌ 8 MARZO 2019, DALLE 18
FONDAZIONE BERENGO – PALAZZO CAVALLI FRANCHETTI
SAN MARCO, 2847, VENEZIA
Per il secondo appuntamento del progetto “RADICAL” ideato da Penzo+Fiore per Fondazione Berengo, Marcella Vanzo – invitata da Matteo Bergamini – porta a Venezia un progetto inedito dedicato al Sacrario di Redipuglia: To wake up the living, to wake up the dead. Non una rivisitazione storica, ma una celebrazione di vita non del tutto estranea all’idea di sacrilegio. Attraverso video, fotografia e installazione l’artista ridà corpo ai centomila soldati che riposano a Redipuglia, uno dei sacrari militari più grandi del mondo, nell’estremo nord-est, quell’area italiana dove la guerra di trincea del primo conflitto mondiale si consumò spietata.
All’origine del progetto To wake up the living, to wake up the dead c’è un video di ricognizione, che indugia e segue marmi, lapidi, nomi e ruolo dei militi di quella che fu la Terza Armata, capitanata da Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d’Aosta. Una vera e propria osservazione silenziosa, un’analisi precisa tra le peculiarità di questo luogo, fatto erigere per volontà di Mussolini tra il 1935 e il 1938, la cui forma architettonica è quella di uno schieramento militare.
La parola “PRESENTE” iscritta centinaia di volte nella pietra richiama i morti in vita: i soldati sopravvissuti rispondevano così, per i compagni caduti.
Dopo la calma inquietante e sovrana di un cimitero a perdita d’occhio, irrompe la tempesta: un batterista che esegue un assolo metal, note dalla carica profondamente eversiva che, da qui, evocano la carneficina. Ma non c’è nulla di fatale: è un inno violentissimo all’esistenza, all’identità, alla passione; è una sveglia contro la storia che ha massacrato i suoi figli; è un imperativo per i vivi – che non succeda mai più! – è un omaggio ai morti – con la musica che si fa metafora della forza di una giovinezza fatta a pezzi per servire “la patria”.
A Palazzo Franchetti, però, ad introdurci a To wake up the living, to wake up the dead sono I Nomi e Sente. Anche in questo caso Vanzo usa come materiale dell’arte una serie di immagini scottanti: sono i nomi propri dei militari caduti iscritti sulle tombe e fotografati. Sono migliaia, talmente tanti che finiscono a terra, si rimescolano, cadono l’uno sull’altro. Ogni nome porta con sé la propria storia ma è come se questo salotto veneziano, ubicato in una delle posizioni più prestigiose al mondo, si trasformasse in una fossa comune. Forse basterebbe questo pensiero a provocare un turbamento, ma l’azione dell’artista non termina qui: al pubblico è chiesto di avvicinarsi, di scavare tra le immagini e di portarsi via – a propria discrezione – il nome che si desidera. Il nome di un ragazzo morto, che è lo stesso nome di un figlio, di un compagno, di un amico vicino. Un omaggio senza inibizioni e allo stesso tempo un atto contro la superstizione, contro l’ossequio che vuole totale separazione tra vita e morte.
Tra I Nomi e l’assolo di batteria, si pongono i Sente: una revisione fotografica dei “PRESENTE”, che invece di scandire un appello militare, eco sinistra che si trasforma in un coro, ci costringe all’attenzione, ci mette all’erta. Un progetto radicale contro quel che appare, sempre e solamente, l’ineluttabile compiersi della storia.
All’origine del progetto To wake up the living, to wake up the dead c’è un video di ricognizione, che indugia e segue marmi, lapidi, nomi e ruolo dei militi di quella che fu la Terza Armata, capitanata da Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d’Aosta. Una vera e propria osservazione silenziosa, un’analisi precisa tra le peculiarità di questo luogo, fatto erigere per volontà di Mussolini tra il 1935 e il 1938, la cui forma architettonica è quella di uno schieramento militare.
La parola “PRESENTE” iscritta centinaia di volte nella pietra richiama i morti in vita: i soldati sopravvissuti rispondevano così, per i compagni caduti.
Dopo la calma inquietante e sovrana di un cimitero a perdita d’occhio, irrompe la tempesta: un batterista che esegue un assolo metal, note dalla carica profondamente eversiva che, da qui, evocano la carneficina. Ma non c’è nulla di fatale: è un inno violentissimo all’esistenza, all’identità, alla passione; è una sveglia contro la storia che ha massacrato i suoi figli; è un imperativo per i vivi – che non succeda mai più! – è un omaggio ai morti – con la musica che si fa metafora della forza di una giovinezza fatta a pezzi per servire “la patria”.
A Palazzo Franchetti, però, ad introdurci a To wake up the living, to wake up the dead sono I Nomi e Sente. Anche in questo caso Vanzo usa come materiale dell’arte una serie di immagini scottanti: sono i nomi propri dei militari caduti iscritti sulle tombe e fotografati. Sono migliaia, talmente tanti che finiscono a terra, si rimescolano, cadono l’uno sull’altro. Ogni nome porta con sé la propria storia ma è come se questo salotto veneziano, ubicato in una delle posizioni più prestigiose al mondo, si trasformasse in una fossa comune. Forse basterebbe questo pensiero a provocare un turbamento, ma l’azione dell’artista non termina qui: al pubblico è chiesto di avvicinarsi, di scavare tra le immagini e di portarsi via – a propria discrezione – il nome che si desidera. Il nome di un ragazzo morto, che è lo stesso nome di un figlio, di un compagno, di un amico vicino. Un omaggio senza inibizioni e allo stesso tempo un atto contro la superstizione, contro l’ossequio che vuole totale separazione tra vita e morte.
Tra I Nomi e l’assolo di batteria, si pongono i Sente: una revisione fotografica dei “PRESENTE”, che invece di scandire un appello militare, eco sinistra che si trasforma in un coro, ci costringe all’attenzione, ci mette all’erta. Un progetto radicale contro quel che appare, sempre e solamente, l’ineluttabile compiersi della storia.