Glass Works
Il vetro come reperto e materiale storico. Per un muranese il vetro è una materia prima che ha la sostanza dell’immanenza. C’è, c’era, c’è sempre stato. Ha una qualità quasi primordiale e a volte può essere assimilato a qualcosa di antico. Promessa di ricchezza, passepartout per accedere alla nobiltà. Lusinga e gabbia, prigione dorata, allontanarsi dall’isola poteva costare la vita. Qui il vetro stesso, forgiato a stiletto, diventa strumento di morte.
Materiale dal sapore alchemico, contiene in sé il paradosso della trasformazione. Malleabile e liquido prima, rigido e refrattario al cambiamento nel momento in cui diventa finito. E’ trasparente come l’anima, ha la fragilità e l’ineluttabilità della morte. La trasformazione è possibile solo a precise condizioni. Se la temperatura non è giusta la trasformazione diventa rottura, e la ricomposizione diventa sutura.
La mostra si articola in una serie di lavori che tendono a utilizzare il materiale vetro forzandone la natura e l’inclinazione trasformativa. Da un lato l’utilizzo del vetro come barriera nella sua duplice accezione di protezione e di isolamento. Dall’altro la relazione/tensione che il vetro crea nell’incontro con altri materiali: è lui a trasmettere lo stato che gli altri dovranno mantenere nella relazione. Frutto della trasformazione limite diventa invece la rottura, che darà adito al processo di ricomposizione. La ricomposizione però non deve essere in alcun modo occultata, ma rimanere a memoria di ciò che è intervenuto nella storia dell’oggetto. La rottura nel vetro è caratteristica insita nella vita del materiale, è vocazione, soglia minima intravista nell’attimo dell’equilibrio precario. Da qui la partenza di un’ulteriore riflessione sui punti di bilanciamento possibili degli elementi in relazione tra loro.
[tratto dal testo di presentazione dalla mostra "Disordine rigido"]
Materiale dal sapore alchemico, contiene in sé il paradosso della trasformazione. Malleabile e liquido prima, rigido e refrattario al cambiamento nel momento in cui diventa finito. E’ trasparente come l’anima, ha la fragilità e l’ineluttabilità della morte. La trasformazione è possibile solo a precise condizioni. Se la temperatura non è giusta la trasformazione diventa rottura, e la ricomposizione diventa sutura.
La mostra si articola in una serie di lavori che tendono a utilizzare il materiale vetro forzandone la natura e l’inclinazione trasformativa. Da un lato l’utilizzo del vetro come barriera nella sua duplice accezione di protezione e di isolamento. Dall’altro la relazione/tensione che il vetro crea nell’incontro con altri materiali: è lui a trasmettere lo stato che gli altri dovranno mantenere nella relazione. Frutto della trasformazione limite diventa invece la rottura, che darà adito al processo di ricomposizione. La ricomposizione però non deve essere in alcun modo occultata, ma rimanere a memoria di ciò che è intervenuto nella storia dell’oggetto. La rottura nel vetro è caratteristica insita nella vita del materiale, è vocazione, soglia minima intravista nell’attimo dell’equilibrio precario. Da qui la partenza di un’ulteriore riflessione sui punti di bilanciamento possibili degli elementi in relazione tra loro.
[tratto dal testo di presentazione dalla mostra "Disordine rigido"]
Glass as a relic and historical material. For a person from Murano, glass is a raw material that can be related to a divine substance. It is, it was, it has always been. It has an almost primeval quality and can sometimes be likened to something old. It promises wealth, the master key to access the nobility. Flattering and detaining like an ornate prison, to leave the island could cost you your life. Here the same glass, a fake stiletto, becomes an instrument of death.
Material from alchemic flavor contains within itself the paradox of transformation. Once malleable and fluid, it changed to rigid and unresponsive to change when finished. It is as clear as the soul, having the fragility and the inevitability of death. The transformation is only possible under specific conditions. If the temperature is not right, the transformation is broken and the reconstruction is a suture.
The exhibition is divided into a series of works that favour the use glass, forcing the nature and transformative inclination. On the one hand, the use of glass is a barrier in its dual meaning of protection and insulation. On the other hand, glass creates a relationship and tension when encountering other materials: it transmits a status that the other materials will have to maintain in the relationship. The limited products of this transformation become, instead, the break which will give rise to the process of reconstruction. Reconstruction, however, must not be obscured in any way, but remain as a memory of what has occurred in the object’s history. The break in the glass is a characteristic inherent in the life of the material. It is a vocation, a minimum threshold quickly seen in the moment of precarious balance. From here, the departure of a further reflection on the elements’ possible balancing points in relation to each other can take place.
[Excerpt from the introductory text from the exhibition "Disordine rigido"]
Material from alchemic flavor contains within itself the paradox of transformation. Once malleable and fluid, it changed to rigid and unresponsive to change when finished. It is as clear as the soul, having the fragility and the inevitability of death. The transformation is only possible under specific conditions. If the temperature is not right, the transformation is broken and the reconstruction is a suture.
The exhibition is divided into a series of works that favour the use glass, forcing the nature and transformative inclination. On the one hand, the use of glass is a barrier in its dual meaning of protection and insulation. On the other hand, glass creates a relationship and tension when encountering other materials: it transmits a status that the other materials will have to maintain in the relationship. The limited products of this transformation become, instead, the break which will give rise to the process of reconstruction. Reconstruction, however, must not be obscured in any way, but remain as a memory of what has occurred in the object’s history. The break in the glass is a characteristic inherent in the life of the material. It is a vocation, a minimum threshold quickly seen in the moment of precarious balance. From here, the departure of a further reflection on the elements’ possible balancing points in relation to each other can take place.
[Excerpt from the introductory text from the exhibition "Disordine rigido"]
TIME
Lampadario in vetro di Murano, cera e crani di animali, cm 120 per 120. 2018. Opera prodotta da Berengo Studio.
L’ossimoro del bianco accostato ai profili gotici di un lampadario/clessidra, un omaggio allo scorrere del tempo come un monumento che si consuma incrementando la sua bellezza e il senso del suo vissuto. Il tempo che logora ma che al contempo impreziosisce, il tempo che accumula i vissuti e sconfigge il banale. Il tempo che crea il vessillo del ricordo, il candore che lo lenisce come promessa di nuova rinascita. Time è il punto di arrivo di una ricerca complessa, che ha portato il duo Penzo+Fiore a esplorare il linguaggio di confine che lega l’alchemico e il magico al vissuto quotidiano del reale. Il soprannaturale viene incarnato dal vegetale, foglie e infiorescenze si mescolano all’elemento vero, in osso, di teschi di animale a ricordare i simboli primordiali delle antiche tribù nell’atto di far accadere i loro rituali di passaggio. Il vetro diventa il collante tra ciò che è vivo e magmatico, e ciò che non lo è. Il fuoco, di cui il vetro stesso è intriso, si fa fiamma viva nell’hic et nunc dell’installazione.
Botanica Alchemica
Installazione in vetro di Murano con sculture di Andrea Penzo, tecnica vetro a lume insetato, 2017
I soggetti di questa botanica fantastica sono aggregazioni di frammenti di natura e elementi antropomorfi, simboli, emersioni di un mondo psico-logico che costituisce l'attuale immaginario.
La tecnica tradizionale usata da Andrea Penzo per le sue creazione, in linea con il filone aperto dalla madre, viene scelta per essere ricontestualizzata in installazioni che possano dialogare con il mondo dell’arte contemporanea. Il ponte istituito da diversi anni tra isola e metropoli europea (Murano-Berlino) ha portato all’emersione di un universo possibile che inglobi immaginario e desiderio. Le opere nate da questo processo diventano proposta e non più azione critica. Visione di un futuro che sia il più possibile connesso alle radici, intese sia come legame con le origini, sia come primo tassello di sviluppo naturale. Un naturale che porta con sé l’inquietudine di un essere nel mondo pieno di contraddizioni, turbamenti e speranze.
Lo spirituale è emerso dalla ricerca del naturale in maniera spontanea, dando forma a un mondo magico che si sovrappone ai simboli di religioni ormai secolarizzate e di cui si intravvede a fatica il portato mistico, che pure rimane incarnato nei messaggi visivi di cui esse stesse si circondano.
Lo sguardo al naturale si trasfigura nel materiale vetro e in un tecnica antica, familiare, suscettibile di trasformazione, mescolandosi ai disegni a penna colorata che delineano una direzione possibile.
La tecnica tradizionale usata da Andrea Penzo per le sue creazione, in linea con il filone aperto dalla madre, viene scelta per essere ricontestualizzata in installazioni che possano dialogare con il mondo dell’arte contemporanea. Il ponte istituito da diversi anni tra isola e metropoli europea (Murano-Berlino) ha portato all’emersione di un universo possibile che inglobi immaginario e desiderio. Le opere nate da questo processo diventano proposta e non più azione critica. Visione di un futuro che sia il più possibile connesso alle radici, intese sia come legame con le origini, sia come primo tassello di sviluppo naturale. Un naturale che porta con sé l’inquietudine di un essere nel mondo pieno di contraddizioni, turbamenti e speranze.
Lo spirituale è emerso dalla ricerca del naturale in maniera spontanea, dando forma a un mondo magico che si sovrappone ai simboli di religioni ormai secolarizzate e di cui si intravvede a fatica il portato mistico, che pure rimane incarnato nei messaggi visivi di cui esse stesse si circondano.
Lo sguardo al naturale si trasfigura nel materiale vetro e in un tecnica antica, familiare, suscettibile di trasformazione, mescolandosi ai disegni a penna colorata che delineano una direzione possibile.
Secrets
Installazione di reperti in vetro di Murano, 2017.
“Secrets” è uno scavo archeologico, è un andare a reperire memoria lì dove la terra giace. In un momento in cui l’estetica del reperto porta a costruire dei falsi oggetti ritrovati, noi decidiamo di scavare sul serio e di trovare quello che di contemporaneo restituisce la profondità di un’isola della laguna.
Da piccoli i bambini di Murano venivano portati dai nonni o dai genitori nei prati perché creasero tra le rocce, o all’interno di buche, delle nicchie in cui nascondere piccoli pezzetti di specchio, frammenti di vetro, altri oggetti preziosi. Il tutto veniva coperto da una lastra di vetro e poi nuovamente sotterrato. Anni dopo si andava a cercare il proprio “segreto”, rimemorando il punto preciso in cui si era lasciato il proprio tesoro. Una pratica del costruire memoria parlando a se stessi, sviluppando quella “continenza emotiva” che porta il bambino a custodire ciò che non tutti devono per forza sapere. Una pratica che metteva al riparo dalla logica contemporanea in cui ha valore solo ciò che viene mostrato o condiviso ad una maggioranza ignota di persone, e dove all’affastellamento di oggetti/immagini dei social si preferiva la cura e la valorizzazione del prezioso e dell’intimo.
L’espositivo di “Secrets” è proprio la mappatura che si contrappone all’affastellamento e produce leggibilità, piacere estetico, storia.
Da piccoli i bambini di Murano venivano portati dai nonni o dai genitori nei prati perché creasero tra le rocce, o all’interno di buche, delle nicchie in cui nascondere piccoli pezzetti di specchio, frammenti di vetro, altri oggetti preziosi. Il tutto veniva coperto da una lastra di vetro e poi nuovamente sotterrato. Anni dopo si andava a cercare il proprio “segreto”, rimemorando il punto preciso in cui si era lasciato il proprio tesoro. Una pratica del costruire memoria parlando a se stessi, sviluppando quella “continenza emotiva” che porta il bambino a custodire ciò che non tutti devono per forza sapere. Una pratica che metteva al riparo dalla logica contemporanea in cui ha valore solo ciò che viene mostrato o condiviso ad una maggioranza ignota di persone, e dove all’affastellamento di oggetti/immagini dei social si preferiva la cura e la valorizzazione del prezioso e dell’intimo.
L’espositivo di “Secrets” è proprio la mappatura che si contrappone all’affastellamento e produce leggibilità, piacere estetico, storia.
Lastre
Frasi nate dalle riflessioni degli artisti sul materiale vetro diventano incisioni che giocano con la loro ombra e rifrazione. Il fragile come declinazione del pensiero. 2017
Torri

Torri, assemblage, oggetti ready made; dimensioni: 10 elementi con base di 5/7 cm, altezze variabili, Murano, Veneza, 2017
Le torri come baluardi difensivi, come luoghi da cui guardare, come dimostrazione di forza a potenza. Torri di vetro come difese fragili, muri attraverso cui guardare, dimostrazione di forza apparente.
Propensione all’elevazione, tentativo di spingersi verso l’alto, verso dimensioni difficili da raggiungere.
Minareti pieni di appigli, che permettono l’ascesa grazie alle loro imperfezioni. Torri fatte di anse, di concavità che possono contenere. Torri lisce, su cui scivolare, in cui forse rimanere imprigionati.
Torri, testimonianze antiche, luoghi di isolamento trasparente.
Le torri come baluardi difensivi, come luoghi da cui guardare, come dimostrazione di forza a potenza. Torri di vetro come difese fragili, muri attraverso cui guardare, dimostrazione di forza apparente.
Propensione all’elevazione, tentativo di spingersi verso l’alto, verso dimensioni difficili da raggiungere.
Minareti pieni di appigli, che permettono l’ascesa grazie alle loro imperfezioni. Torri fatte di anse, di concavità che possono contenere. Torri lisce, su cui scivolare, in cui forse rimanere imprigionati.
Torri, testimonianze antiche, luoghi di isolamento trasparente.
Amorfo e cristallino
Vetro e cristallo naturale su teche incise, 2016.
Oggetto Esperienziale #1
Mattoni modificati e bacchette in vetro di murano. 2017.
Resistenza
Installazione site specific, asse in vetro e muro scrostato, 2016
Sutura
Installazione in vetro, bicchiere rotto, oro e resine, 2016
Stay Installazione, coperta con pezzo di vetro al suo stato naturale, 2016
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Visione sovversiva
Esemplificazione visiva di una metonimia, lastra di vetro e stampo di centrino in verde, il colore naturale del vetro. Il centrino, su cui tradizionalmente si poggiavano i pezzi in vetro viene inglobato dal supporto e diventa esso stesso opera, mentre il vetro diventa supporto, cm 50x51, 2016
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Sono fragileInstallazione, fedi nuziali con l’incisione “Sono fragile” in beuta da laboratorio. Rielaborazione della performance “Amor vincit omnia” del 2014, 2016
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Sotto spiritoInstallazione, peluche in barattolo da farmacia, 2009 [Nuova installazione site-specific 2016]
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Prati verdiInstallazione e disegno a penna rossa su garza, 2009 [Nuova installazione site-specific 2016]
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Confort zone
Installazione composta da soffione in campana di vetro e da quattro ventilatori, 2016
Stigma
Installazione, neon su sacche di cera liquida. L’oggetto in vetro, privato della sua funzione, imprime con la sua forma la cera liquida, 2016
Il vespaio
Like a child’s game
Mapping the glass
Rinvenimenti in vetro relativi al territorio della laguna di Venezia raccolti e riplasmati a lingotto, 2016
In the gap
Performance / intervento site specific in vetro di Murano su crepa, 2016
Snuggled Puppets
Vasi in vetro di Murano con pupazzo di pezza, misure differenti. Rielaborazione di un'installazione del 2005, 2016. Opera in collaborazione con Berengo Studio.
I barattoli in vetro con dentro peluche sono un pezzo storico di Andrea Penzo, che li realizzava inizialmente con grossi vasi industriali trasparenti; successivamente con Cristina Fiore vengono fatte varie serie dello stesso pezzo, utilizzando antichi vasi da farmacia. La prima volta che vengono esposti, nel 2005, sono piantati nella terra e intervallati da piante di cavolo, all’interno di una grossa installazione di 12 x 6 metri, nell’Antico Ospedale dei Battuti di San Vito al Tagliamento.
Nel 2016 i vasi vengono realizzati in vetro di Murano dal Berengo Studio, con l’esecuzione di Silvano Signoretto, e vengono pensati di grandi dimensioni.
L’idea di infanzia racchiusa all’interno di un prezioso contenitore di vetro colorato rimanda alla necessità di volerla preservare e difendere dalla brutalità del mondo. Protezione però può voler dire anche isolamento, da lì agirà la forza del singolo nel trovare la sua strada per trovare contatto con gli altri, ed entrare in un mondo per ora solamente osservato da dietro una trasparenza.
Il senso di protezione può essere equilibrato, quanto i tempi lo decideranno, dalla forza dell’evasione. Ogni snuggled puppets è un messaggio lanciato a chi osserva: scruta la vita protetto e coccolato finché ne hai bisogno, esci allo scoperto quando sentirai la giusta pulsione per farlo.
Nel 2016 i vasi vengono realizzati in vetro di Murano dal Berengo Studio, con l’esecuzione di Silvano Signoretto, e vengono pensati di grandi dimensioni.
L’idea di infanzia racchiusa all’interno di un prezioso contenitore di vetro colorato rimanda alla necessità di volerla preservare e difendere dalla brutalità del mondo. Protezione però può voler dire anche isolamento, da lì agirà la forza del singolo nel trovare la sua strada per trovare contatto con gli altri, ed entrare in un mondo per ora solamente osservato da dietro una trasparenza.
Il senso di protezione può essere equilibrato, quanto i tempi lo decideranno, dalla forza dell’evasione. Ogni snuggled puppets è un messaggio lanciato a chi osserva: scruta la vita protetto e coccolato finché ne hai bisogno, esci allo scoperto quando sentirai la giusta pulsione per farlo.
Games
Installazione / performance, bandiera americana incorniciata con vetro rotto e ricomposto, risultato di un’azione performativa creata in occasione di una ricerca sul tema della guerra. L’America ad oggi risulta essere il maggior produttore di armi al mondo, cm 90x150, 2012 [New site-specific installation 2016]
Black
Scultura in vetro di Murano, misure cm 120x120x45 + Base, 2013. Opera eseguita con la collaborazione di Berengo Studio.
Scacchiera in vetro di Murano, su disegni di Andrea Penzo e Cristina Fiore, prodotta dal maestro Danilo Zanella del Berengo Studio di Murano. Dimensioni: 120x120 cm il piano, altezza della base 100 cm circa. I 32 pezzi in vetro nero, interamente realizzati a mano attraverso la tradizionale tecnica di lavorazione in fornace, sono in vetro pieno e sono posizionati su una struttura modulabile di formalle anch'esse realizzate a mano (64 in totale). La scacchiera poggia su una struttura in legno realizzata appositamente con griglia superiore. L'incontro degli artisti con il maestro vetraio è stato voluto e mediato da Adriano Berengo, realizzatore di Glasstress a Palazzo Franchetti per le ultime tre Biennali di Arti Visive. L'opera “Black”, appartenente al ciclo sul nero aperto nel 2012 dal duo Penzo+Fiore, viene prodotta nel 2013 da Adriano Berengo, l'unico che a Murano sta utilizzando in modo sistematico il metodo di relazione creativa tra artisti e maestri vetrai.
L'opera nasce dall'omonima performance in cui due ragazze dai capelli lunghissimi giocano a scacchi. La loro scacchiera è completamente nera, non ci sono differenze tra i due eserciti. I capelli delle ragazze sono legati ai pezzi, in modo tale che più si va avanti con la partita, più i capelli si intrecciano irreversibilmente.
Nel gioco degli scacchi il conflitto è scandito da strategia, metodo, memoria, esercizio di intelligenza e creatività. Che cosa succede nel momento in cui le rigorose regole della partita rimangono, ma non si riescono a riconoscere avversari e compagni? Non si può distinguere l'avanzata degli uni e degli altri, soprattutto per il pubblico che osserva? Le verità mute del procedere del gioco sono impresse solo nella mente dei giocatori e nella loro memoria.
The work comes from the homonymous performance where two girls with extremely long hair play chess. The chessboard is completely black, there are no differences between the two armies. The two girls'hair is tied to the pieces, in this way the further the game goes, the more their hair is irreversibly interwoven.
In chess, the conflict is punctuated by strategy, method, memory, exercise of intelligence and creativity. What happens when the strict rules of the game remain, but one does not recognize the opponents and their companions? Is one not able to distinguish the superiority of the other, especially when the audience is observing? The silent truth of the game’s procedures is imprinted only in the minds of players and in their memory.
L'opera nasce dall'omonima performance in cui due ragazze dai capelli lunghissimi giocano a scacchi. La loro scacchiera è completamente nera, non ci sono differenze tra i due eserciti. I capelli delle ragazze sono legati ai pezzi, in modo tale che più si va avanti con la partita, più i capelli si intrecciano irreversibilmente.
Nel gioco degli scacchi il conflitto è scandito da strategia, metodo, memoria, esercizio di intelligenza e creatività. Che cosa succede nel momento in cui le rigorose regole della partita rimangono, ma non si riescono a riconoscere avversari e compagni? Non si può distinguere l'avanzata degli uni e degli altri, soprattutto per il pubblico che osserva? Le verità mute del procedere del gioco sono impresse solo nella mente dei giocatori e nella loro memoria.
The work comes from the homonymous performance where two girls with extremely long hair play chess. The chessboard is completely black, there are no differences between the two armies. The two girls'hair is tied to the pieces, in this way the further the game goes, the more their hair is irreversibly interwoven.
In chess, the conflict is punctuated by strategy, method, memory, exercise of intelligence and creativity. What happens when the strict rules of the game remain, but one does not recognize the opponents and their companions? Is one not able to distinguish the superiority of the other, especially when the audience is observing? The silent truth of the game’s procedures is imprinted only in the minds of players and in their memory.
Solve et Coagula
Installazione, performance, 2011.
Di fronte ad una distesa di bicchieri in vetro, i performer versano l'acqua contenuta in un bicchiere da un contenitore all'altro, nel tentativo di arrivare al suo completo e naturale esaurimento. L'acqua è metafora della vita, nel suo ciclo di continui adattamenti e trasformazioni.
La performance ha dato origine ad un'installazione composta da circa 250 bicchieri, che viene esposta insieme alla documentazione video e fotografica.
Facing an array of glasses, the performers pour water from a glass into the other ones, trying to get to its complete and natural depletion. Water is the metaphor of life, in its cycle of continuous adaptions and transformations.
The performance gave rise to an installation of about 250 glasses, that also is exhibited together with the photographic documents.
La performance ha dato origine ad un'installazione composta da circa 250 bicchieri, che viene esposta insieme alla documentazione video e fotografica.
Facing an array of glasses, the performers pour water from a glass into the other ones, trying to get to its complete and natural depletion. Water is the metaphor of life, in its cycle of continuous adaptions and transformations.
The performance gave rise to an installation of about 250 glasses, that also is exhibited together with the photographic documents.
Ex_Po
Ex_Po è un progetto di installazione del 2010 da realizzare all'interno della polveriera austriaca di Forte Marghera, Mestre-Venezia. Il progetto è entrato a far parte della tesi di laurea della studentessa Valentina Bonato per la facoltà Iuav di Venezia, come esempio di collaborazione tra progetto di restauro e potenzialità artistico/espositiva dello spazio.
Il concept da cui si è partiti è legato alla natura intrinseca del luogo, nato come fortezza militare e poi risemantizzato. Gli artisti hanno immaginato di riempire di frammenti di vetro grezzo l'interno dell'edificio usato originariamente per contenere polvere da sparo, in modo da impedire l'ingresso al pubblico, che si troverebbe quindi costretto ad osservare in una posizione imposta la prospettiva del lungo tunnel in mattoni. Sul fondo dello spazio, illuminate da un faretto a pioggia, un paio di scarpette rosse. Sulle finestre esterne della polveriera, si sarebbero posizionati degli schermi video su cui far apparire le scarpette, anticipate da un rumore di passi leggermente fuori sincrono. La ronda scherzosa ed erotica fa riferimento al desiderio di veder crescere sempre di più la distanza tra le ragioni che hanno portato alla costruzione di questo spazio, e la sua possibile futura natura. Ex_Po is an installation project to be actualised inside the Austrian arsenal Forte Marghera, in Mestre-Venice. The project became part of the graduation thesis of Valentina Bonato from the IUAV University of Venice, as an example of collaboration between a renovation project and the artistic/exhibitional potential of the space. The starting concept is linked to the intrinsic nature of the place, created as a military fort and later given a new purpose. The artists have imagined to fill the building’s interior, originally used for gunpowder, with fragments of unworked glass, by doing so the audience is denied the entrace and has to observe the perspective of a long brick tunnel from an imposed position. On the background, lit up by a spotlight, a pair of red shoes. On the arsenal’s exterior windows, screens would be placed to show the shoes, anticipated by the slightly unsynchronised sound of steps. The erotic and mock patrol refers to the desire to see growing the distance between the reason why this building had been built, and its possible future nature. |
Iato
Installazione, 2005. L'opera viene realizzata durante la residenza “Art\LAB”, iniziativa, curata da Irene Calderoni, è promossa dalla Provincia di Venezia in collaborazione con la Fondazione Querini Stampalia e la Fondazione Bevilacqua La Masa e patrocinata della Fondazione Biennale di Venezia. L'opera è realizzata con la collabrazione del Maestro del vetro Fabio Fornasier e della Scuola del vetro Abate Zanetti
Un acquario è un mondo artificiale, creato dall’uomo per riprodurre in una situazione controllabile e accessibile un brandello della natura, un mondo marino in miniatura a uso e consumo domestico. Come tutte le gabbie, isola il contenuto lasciando la possibilità a chi sta fuori di scrutare l’interno, mentre rende innocuo e indifeso chi o ciò che è rinchiuso. Non viene però annullato il potere dello sguardo del recluso, uno sguardo che può essere tanto più inquietante quanto più assurdo e ingiusto il gesto di imprigionare.
L’opera di Andrea Penzo è nata nel contesto di una residenza artistica ospitata sull’Isola di San Servolo, in cui gli artisti sono stati invitati a riflettere sulla memoria storica del luogo, un tempo manicomio di Venezia. Parte in origine di una più ampia installazione che costruiva un dialogo impossibile tra l’interno e l’esterno dello spazio espositivo, l’intervento di Penzo impiega il vetro con una duplice valenza, come materiale scultoreo che dà vita a volti dall’identità incerta ma dalla forte presenza, e insieme come barriera, come ostacolo al contatto. Il vetro è la gabbia trasparente che isola e anestetizza, che rinchiude ed espone, che miscela sulla propria superficie riflettente le immagini di chi sta dentro e chi sta fuori, ma si tratta solo di un’illusione, perché la separazione tra i due mondi resta invalicabile. La testa imprigionata sott’acqua è come un fantasma, una marionetta ormai senza vita, eppure resta, ingombrante, l’eco di una presenza umana, più forte perché contrastata dalla vitalità dei pesci che abitano l’acquario, più disperata perché inimmaginabile e incomprensibile come la follia.
[Testo di Irene Calderoni]
L’opera di Andrea Penzo è nata nel contesto di una residenza artistica ospitata sull’Isola di San Servolo, in cui gli artisti sono stati invitati a riflettere sulla memoria storica del luogo, un tempo manicomio di Venezia. Parte in origine di una più ampia installazione che costruiva un dialogo impossibile tra l’interno e l’esterno dello spazio espositivo, l’intervento di Penzo impiega il vetro con una duplice valenza, come materiale scultoreo che dà vita a volti dall’identità incerta ma dalla forte presenza, e insieme come barriera, come ostacolo al contatto. Il vetro è la gabbia trasparente che isola e anestetizza, che rinchiude ed espone, che miscela sulla propria superficie riflettente le immagini di chi sta dentro e chi sta fuori, ma si tratta solo di un’illusione, perché la separazione tra i due mondi resta invalicabile. La testa imprigionata sott’acqua è come un fantasma, una marionetta ormai senza vita, eppure resta, ingombrante, l’eco di una presenza umana, più forte perché contrastata dalla vitalità dei pesci che abitano l’acquario, più disperata perché inimmaginabile e incomprensibile come la follia.
[Testo di Irene Calderoni]
Under Spirit
Installazione. Barattoli di vetro e pupazzi di pezza. Dimensioni varie, 2005 ad oggi.
Il lavoro si gioca sull'ambiguità del concetto di protezione, che può facilmente cadere nel suo doppio, l'isolamento. I barattoli contengono oggetti transizionali protetti da un liquido quasi fetale, e sono disposti all'interno di un orto di cavoli. L'idea di nascita e di primo sviluppo del bambino viene reiterata da simboli che stanno in equilibrio tra il naturale e l'artificiale.
The work plays with the ambiguity of the concept of protection, which may easily fall on its duality, isolation. Jars contain transitional objects preserved in a sort of amniotic fluid, and positioned in a cabbage garden. The idea of birth and first development of a baby is repeated by symbols, which are balanced between natural and artificial.
The work plays with the ambiguity of the concept of protection, which may easily fall on its duality, isolation. Jars contain transitional objects preserved in a sort of amniotic fluid, and positioned in a cabbage garden. The idea of birth and first development of a baby is repeated by symbols, which are balanced between natural and artificial.