INSIGHTS
Duo artistico dal 2009, vivono e lavorano a Venezia.
Prima della formazione del duo, Andrea Penzo (Murano 1969) inizia il suo percorso nel mondo del vetro, insegnando in Italia e in America, partecipando a mostre nazionali e internazionali che sfociano, nel 2005, nella residenza artistica “La cheba dei matti” nell’isola di San Servolo, progetto curato da Irene Calderoni in collaborazione con La Biennale di Venezia, Fondazione Querini Stampalia, Fondazione Bevilacqua La Masa e Scuola del vetro Abate Zanetti. La residenza sancisce l’ingresso di Penzo nell’arte contemporanea.
Nel 2009, anno dell’incontro con Cristina Fiore (Oderzo 1979), si innesta nel suo percorso quello seguito precedentemente da lei nel mondo del teatro. Laureata a Ca’ Foscari in letteratura contemporanea, Fiore intraprende fin da giovanissima la strada del teatro, seguendo l’approccio antropologico e di ricerca insito nelle esperienza fatte con Antonio Attisani, il Théâtre du Radeau di Le Mans e il Teatro Nucleo di Ferrara.
Come duo Penzo+Fiore si confrontano con la necessità di trovare un linguaggio comune attraverso un vasto numero di esperienze. A questo periodo, durato fino al 2016, appartengono gli anni berlinesi, le azioni di riqualificazione territoriale a Forte Marghera (Mestre), i primi risultati di scrittura a quattro mani e le prime collaborazioni con il vetro, che in questa fase non è il materiale preminente, al Berengo Studio.
Dal 2016, con la mostra Disordine rigido alla Fusion Art Gallery di Torino, Penzo e Fiore tornano al vetro come duo. Il loro obiettivo è quello di darsi un limite espressivo in grado di porre alla base delle proprie indagini il concetto di fragilità insito nel materiale stesso. Uscendo dalla logica preminente del vetro muranese che predilige l’estetica e la forma al concetto, Penzo+Fiore ne sovvertono i canoni utilizzando tanto vetro di Murano quanto vetro industriale, in parte lavorato direttamente e in parte semplicemente scelto e risemantizzato come oggetto ready made.
La nuova direzione porta gli artisti ad importanti risultati: la mostra Glassfever a Dordrecht, in Olanda; Lux-Lumen con Fondazione Berengo per la conferenza annuale della Glass Art Society a Murano; la realizzazione, presso il Teatrino di Palazzo Grassi, della conferenza Murano Magma; la presenza all’interno di “Una vetrina”, evento in collaborazione con MAXXI Roma; la partecipazione alla mostra Brain tooling di Dolomiti Contemporanee; l’ingresso alla Galleria Massimo de Luca di Venezia-Mestre.
Caratteristica del duo non è tanto una ricorrenza di tematiche, seppure presente nel loro lavoro, quanto un metodo di apprendimento/assimilazione di questioni strettamente legate alla natura dell’uomo e al contesto a cui si rapporta, che fa costantemente indagare il presente non solo con uno sguardo intimo e personale, ma anche attraverso la creazione di dispositivi di confronto e scambio di saperi con professionisti dei settori di volta in volta ritenuti utili a sviscerare i temi da affrontare, o attraverso il coinvolgimento di attori primari o secondari delle comunità di riferimento.
Linguaggio fondante del duo, tutt’ora praticato e insegnato, è quello performativo. La performance, ancor più delle pratiche installative e relazionali, mette al centro l’essere umano nella sua fragilità e necessità di relazione.
Prima della formazione del duo, Andrea Penzo (Murano 1969) inizia il suo percorso nel mondo del vetro, insegnando in Italia e in America, partecipando a mostre nazionali e internazionali che sfociano, nel 2005, nella residenza artistica “La cheba dei matti” nell’isola di San Servolo, progetto curato da Irene Calderoni in collaborazione con La Biennale di Venezia, Fondazione Querini Stampalia, Fondazione Bevilacqua La Masa e Scuola del vetro Abate Zanetti. La residenza sancisce l’ingresso di Penzo nell’arte contemporanea.
Nel 2009, anno dell’incontro con Cristina Fiore (Oderzo 1979), si innesta nel suo percorso quello seguito precedentemente da lei nel mondo del teatro. Laureata a Ca’ Foscari in letteratura contemporanea, Fiore intraprende fin da giovanissima la strada del teatro, seguendo l’approccio antropologico e di ricerca insito nelle esperienza fatte con Antonio Attisani, il Théâtre du Radeau di Le Mans e il Teatro Nucleo di Ferrara.
Come duo Penzo+Fiore si confrontano con la necessità di trovare un linguaggio comune attraverso un vasto numero di esperienze. A questo periodo, durato fino al 2016, appartengono gli anni berlinesi, le azioni di riqualificazione territoriale a Forte Marghera (Mestre), i primi risultati di scrittura a quattro mani e le prime collaborazioni con il vetro, che in questa fase non è il materiale preminente, al Berengo Studio.
Dal 2016, con la mostra Disordine rigido alla Fusion Art Gallery di Torino, Penzo e Fiore tornano al vetro come duo. Il loro obiettivo è quello di darsi un limite espressivo in grado di porre alla base delle proprie indagini il concetto di fragilità insito nel materiale stesso. Uscendo dalla logica preminente del vetro muranese che predilige l’estetica e la forma al concetto, Penzo+Fiore ne sovvertono i canoni utilizzando tanto vetro di Murano quanto vetro industriale, in parte lavorato direttamente e in parte semplicemente scelto e risemantizzato come oggetto ready made.
La nuova direzione porta gli artisti ad importanti risultati: la mostra Glassfever a Dordrecht, in Olanda; Lux-Lumen con Fondazione Berengo per la conferenza annuale della Glass Art Society a Murano; la realizzazione, presso il Teatrino di Palazzo Grassi, della conferenza Murano Magma; la presenza all’interno di “Una vetrina”, evento in collaborazione con MAXXI Roma; la partecipazione alla mostra Brain tooling di Dolomiti Contemporanee; l’ingresso alla Galleria Massimo de Luca di Venezia-Mestre.
Caratteristica del duo non è tanto una ricorrenza di tematiche, seppure presente nel loro lavoro, quanto un metodo di apprendimento/assimilazione di questioni strettamente legate alla natura dell’uomo e al contesto a cui si rapporta, che fa costantemente indagare il presente non solo con uno sguardo intimo e personale, ma anche attraverso la creazione di dispositivi di confronto e scambio di saperi con professionisti dei settori di volta in volta ritenuti utili a sviscerare i temi da affrontare, o attraverso il coinvolgimento di attori primari o secondari delle comunità di riferimento.
Linguaggio fondante del duo, tutt’ora praticato e insegnato, è quello performativo. La performance, ancor più delle pratiche installative e relazionali, mette al centro l’essere umano nella sua fragilità e necessità di relazione.
ART STATEMENT
La nostra visione dell’arte nasce dall’incontro, dallo scontro, dal confronto. Due punti distanti nello spazio mentale del processo creativo si innestano l’uno nell’altra attraverso linguaggi che esploriamo in maniera caparbia e a volte discontinua per anni.
Nel 2016 maturano i frutti di una sperimentazione sul campo iniziata nel 2009 e che ha visto intrecciarsi i linguaggi che come individui ci avevano caratterizzati prima dell’incontro: il vetro, la performance, la scrittura, il disegno, il teatro, l’installazione. Pratichiamo un terreno nuovo per entrambi fatto di filosofie di vita e di paradigmi diversi, a volte distanti, che inesorabilmente si attraggono.
Dal 2016 il fulcro della nostra ricerca diventa – ridiventa – il vetro. Un vetro scomposto, metaforico, materico, inusuale. Il nostro focus si sposta dall’Europa del Nord alla laguna, l’orizzonte internazionale si ancora ad un territorio connotato e connotante.
Scegliamo di ri-incontrare il vetro perché l’esperienza che abbiamo del mondo filtrata dagli occhi del duo ci fa guardare in faccia il fragile. L’essere umano è fragile, lo è la coppia, lo è il mondo. Quando riesci a entrare nel fragile sai che può emergere la forza. Non c’è forza senza consapevolezza della fragilità.
Il vetro è un materiale che può rompersi, ha bisogno di cura e attenzione. Il vetro è bello, a volte troppo bello, bisogna stare alla larga dall’inganno della sua estetizzazione. Il vetro ferisce, se non lo sai toccare entra nella carne e non ha pietà. Il vetro è trasparenza, verità, non copre ma scopre, non occulta ma porta alla luce. Il vetro è fuoco, calore e coraggio. Non si può lavorare se non si supera la paura di scottarsi. Il vetro è un solido amorfo, è un liquido, è un materiale vischioso. Il suo è uno stato impossibile, un quarto stato nato dall’irrigidimento del liquido che però non si è cristallizzato in una forma ordinata. La bellezza del vetro, la sua omogeneità, non è data da un ordine precostituito, ma dalla costante combinazione di diversità, dall’aggregazione di molecole in pattern irripetibili, unici, randomizzati.
In un’epoca che ha perso la consapevolezza del coraggio, delle cose importanti, della necessità di confrontarsi anche con ciò che taglia, crediamo che il confronto e la pratica reale e simbolica di questo materiale aiuti ad afferrare qualcosa di urgente.
La fragilità che fa riscoprire l’essenza più profonda e necessaria dell’essere umano, unita al coraggio e alla forza di militare per rendere acuta la visione e vigile la percezione, diventa l’urgenza alla base del nostro lavoro.
Guardare il vetro, per noi, è aver avuto il coraggio di guardare e accettare la nostra origine, storica e geografica. La pulsione è stata quella di sdoganare la sua essenza più vicina alla nostra sensibilità, senza rimanere vittime della tradizione, seppure riuscendo a guardarla. Le radici profonde non sono garanzia di crescita in altezza, però delle radici di un qualche tipo servono a non essere parassiti. Il movimento di avvicinamento e di allontanamento dal nucleo originario è un’attitudine necessaria che ci dà la possibilità di osservare la nostra origine e il nostro lavoro. Gli incontri e i dibattiti a cui invitiamo critici, storici, filosofi, esperti di vari settori e portatori di sapere, ci servono a mettere in circolo energie nuove e aiutano l’incedere della nostra visione nel mondo e del mondo. Scrivendo impariamo, guardando assorbiamo, ascoltando creiamo, domandando approfondiamo.
Il nostro personale modo di stare nel mondo è una costante ricerca di assoluti. Cerchiamo connessioni e rimandi che ci permettano di dare forma alla nostra visione poetica. Spesso dobbiamo sottrarci dal flusso del mondo per riuscire a vedere con occhi nuovi. I particolari diventano presto universali e vanno a stimolare di continuo la nostra capacità di crescere organicamente in relazione al contesto di persone, cose e comunità che ci circonda.
Nel 2016 maturano i frutti di una sperimentazione sul campo iniziata nel 2009 e che ha visto intrecciarsi i linguaggi che come individui ci avevano caratterizzati prima dell’incontro: il vetro, la performance, la scrittura, il disegno, il teatro, l’installazione. Pratichiamo un terreno nuovo per entrambi fatto di filosofie di vita e di paradigmi diversi, a volte distanti, che inesorabilmente si attraggono.
Dal 2016 il fulcro della nostra ricerca diventa – ridiventa – il vetro. Un vetro scomposto, metaforico, materico, inusuale. Il nostro focus si sposta dall’Europa del Nord alla laguna, l’orizzonte internazionale si ancora ad un territorio connotato e connotante.
Scegliamo di ri-incontrare il vetro perché l’esperienza che abbiamo del mondo filtrata dagli occhi del duo ci fa guardare in faccia il fragile. L’essere umano è fragile, lo è la coppia, lo è il mondo. Quando riesci a entrare nel fragile sai che può emergere la forza. Non c’è forza senza consapevolezza della fragilità.
Il vetro è un materiale che può rompersi, ha bisogno di cura e attenzione. Il vetro è bello, a volte troppo bello, bisogna stare alla larga dall’inganno della sua estetizzazione. Il vetro ferisce, se non lo sai toccare entra nella carne e non ha pietà. Il vetro è trasparenza, verità, non copre ma scopre, non occulta ma porta alla luce. Il vetro è fuoco, calore e coraggio. Non si può lavorare se non si supera la paura di scottarsi. Il vetro è un solido amorfo, è un liquido, è un materiale vischioso. Il suo è uno stato impossibile, un quarto stato nato dall’irrigidimento del liquido che però non si è cristallizzato in una forma ordinata. La bellezza del vetro, la sua omogeneità, non è data da un ordine precostituito, ma dalla costante combinazione di diversità, dall’aggregazione di molecole in pattern irripetibili, unici, randomizzati.
In un’epoca che ha perso la consapevolezza del coraggio, delle cose importanti, della necessità di confrontarsi anche con ciò che taglia, crediamo che il confronto e la pratica reale e simbolica di questo materiale aiuti ad afferrare qualcosa di urgente.
La fragilità che fa riscoprire l’essenza più profonda e necessaria dell’essere umano, unita al coraggio e alla forza di militare per rendere acuta la visione e vigile la percezione, diventa l’urgenza alla base del nostro lavoro.
Guardare il vetro, per noi, è aver avuto il coraggio di guardare e accettare la nostra origine, storica e geografica. La pulsione è stata quella di sdoganare la sua essenza più vicina alla nostra sensibilità, senza rimanere vittime della tradizione, seppure riuscendo a guardarla. Le radici profonde non sono garanzia di crescita in altezza, però delle radici di un qualche tipo servono a non essere parassiti. Il movimento di avvicinamento e di allontanamento dal nucleo originario è un’attitudine necessaria che ci dà la possibilità di osservare la nostra origine e il nostro lavoro. Gli incontri e i dibattiti a cui invitiamo critici, storici, filosofi, esperti di vari settori e portatori di sapere, ci servono a mettere in circolo energie nuove e aiutano l’incedere della nostra visione nel mondo e del mondo. Scrivendo impariamo, guardando assorbiamo, ascoltando creiamo, domandando approfondiamo.
Il nostro personale modo di stare nel mondo è una costante ricerca di assoluti. Cerchiamo connessioni e rimandi che ci permettano di dare forma alla nostra visione poetica. Spesso dobbiamo sottrarci dal flusso del mondo per riuscire a vedere con occhi nuovi. I particolari diventano presto universali e vanno a stimolare di continuo la nostra capacità di crescere organicamente in relazione al contesto di persone, cose e comunità che ci circonda.