INTERVISTA A CRISTINA FIORE E ANDREA PENZO
Si definiscono “attivatori di forme d’arte” e sembrano mossi da una pulsione ad organizzare progetti che non coinvolgano soltanto i loro lavori. Stiamo parlando del duo Penzo+Fiore, sigla con cui Andrea Penzo e Cristina Fiore, entrambi di origine veneta, firmano le proprie opere. Si è conclusa domenica scorsa la rassegna d’arte contemporanea “Controzona” da loro curata. Siamo andati ad intervistarli alla Plip, centrale dell’altraeconomia per scoprire cosa li ha mossi a realizzare un progetto del genere a Mestre.
Dal 2009 vi siete trasferiti a Mestre, città definita dal filoso Massimo Cacciari, “il vero laboratorio della politica”. In che modo il contesto politico si lega al vostro progetto?
Appena trasferiti, abbiamo cominciato ad indagare la città. Elemento caratterizzante di Mestre da quando siamo qua, un po’ per confronti avuti con chi si occupa di urbanistica e con chi progetta, risulta l’evidente e naturale partecipazione del cittadino: tante sono le associazioni, tanti i gruppi e i comitati che agiscono su vari fronti. Si respira questo senso e desiderio di essere parte delle decisioni politiche che vengono prese all’interno della città (le stesse campagne elettorali, ad esempio, si svolgono a Mestre, perché ovviamente il bacino elettorale è qui concentrato). Mestre è la città del “Festival della politica”, nato tre anni fa in piccolo e che è diventato uno degli esperimenti dalla crescita più evidente . Il solo fatto che un festival di questo tipo abbia ricevuto tutta questa attenzione e che venga valorizzato ti dà l’idea di quanto Mestre sia, in questo senso, un luogo significativo.
Oltretutto non bisogna dimenticare Marghera che, con il suo centro sociale “Rivolta”, è stato negli anni ‘90 teatro di lotte e contestazioni per i diritti dei lavoratori. Ci sembrava interessante confrontarci con l’ aspetto politico attraverso la mostra “Drop out”, allestita all’interno di questa struttura, che abbiamo scoperto pian piano, collaborando con gente che ogni giorno si pone, in maniera sostanziale, il problema dell’azione sul territorio. Ci interessava dare spazio al concetto di “rifuggire le convenzioni”, alla possibilità di deviare dalle congetture convenzionali per trovare un nostro personale modello di partecipazione politica. In mostra sono state presentate opere dell’artista palermitano Adalberto Abbate nonché di Petrov Ahner, il quale ha concentrato il suo interesse sulla Tacheles, la storica kunsthaus di Berlino.
Avete concepito la stessa Mestre come “un corpo che ha bisogno della globalità di se stesso per esercitare le funzioni”. Controzona sembra quindi configurarsi come una rassegna tesa a stimolare lo spettatore e l’artista non soltanto a livello politico ma anche a livello corporeo. Diversi sono stati i workshops a Forte Carpenedo, come quello realizzato dall’artista Francesco Nordio, e le performances, ne è un esempio “impasto a Shakespeare” condotto da Alvise Bittente. C’è da chiedersi in che modo gli artisti sono stati preparati ad affrontare e condividere con il pubblico un momento esperienziale così intimo?
La modalità operativa da noi adottata prende forma nel luglio 2012. Quell’anno abbiamo proposto un ciclo di conferenze su un autore, Gregory Bateson, sul quale svolgere tre giornate di studio. Abbiamo invitato un gruppo di quattordici artisti, secondo noi in grado di maneggiare concetti complessi, a mettersi in gioco. Gli artisti, dopo le tre giornate di seminario, sono stati lasciati liberi di elaborare tutto quanto e di sviluppare i loro progetti. Il supporto che in questa fascia temporale loro hanno da noi ricevuto è stato minimo; alla fine ogni artista è stato in grado di elaborare un suo lavoro, esposto poi in mostra.
Quest’anno abbiamo deciso di riproporre la stessa modalità ma abbiamo variato l’autore; abbiamo deciso di indagare la figura e l’operato di Alexandere Lower, lo psichiatra il cui lavoro ci ha particolarmente interessato in quanto durante la sua carriera si è occupato del concetto di corpo.
Abbiamo quindi sottoposto questo gruppo artisti visivi e concettuali, solo alcuni di loro performer, ad un’attenta indagine e dato loro stimoli fisici. Il programma si è sviluppato a partire da un incontro con il prof. Luigi Vero Tarca, docente di filosofia teoretica dell’ Università Ca’ Foscari di Venezia, che ha dato un orizzonte di senso mettendo in discussione il tema dell’unione corpo-mente lungo tutto il ‘900. Due sono poi state le giornate di lavoro nelle sale della Plip, condotte da Paolo Maccagno, esperto di Alexander Lower e del metodo Feldenkrais. Tutto ciò ha detonato una serie di pensieri concettuali e dimensioni fisico-emozionali e che ci interessava porre alla base del nostro processo creativo.
La rassegna di quest’anno è stata concepita come “progetto pilota”, da qui il nome “Controzona numero zero”; è in tale prospettiva che avete proposto una call per l’esposizione “The other places that don’t exist any longer” di Rebecca Agnes. Ma parliamo anche del progetto “private houses” , una delle idee sulle quali state già costruendo Controzona 2014.
È giusto considerare Controzona come una prova generale; vorremmo che questa rassegna non si concludesse con la chiusura, piuttosto l’obiettivo sarebbe portare in altre città europee una mostra come “Drop out”, con l’intento di una collaborazione da parte del maggior numero possibile di artisti, in modo che tra un anno questa ritorni a Venezia con vissuto aggiunto.
Passiamo parecchio tempo a Berlino, città in cui “sverniamo” ; siamo quindi sempre attenti agli stimoli offerti da una luogo del genere. Ci ha incuriosito, partecipando in veste di artisti al festival “48 hours”, il fatto che una rassegna potesse svilupparsi tra gallerie, spazi privati, case e spazi pubblici. L’esperimento “private houses” prenderà le mosse da questa idea: riuscire a trovare una rete di appartamenti entro la primavera 2014, non per una semplice esposizione ma una simbiosi di luoghi e momenti. Nei prossimi mesi realizzeremo una call, sperando in un feedback da parte della gente!
Giulia Colletti per ArtsLife
24 ottobre 2013
Si definiscono “attivatori di forme d’arte” e sembrano mossi da una pulsione ad organizzare progetti che non coinvolgano soltanto i loro lavori. Stiamo parlando del duo Penzo+Fiore, sigla con cui Andrea Penzo e Cristina Fiore, entrambi di origine veneta, firmano le proprie opere. Si è conclusa domenica scorsa la rassegna d’arte contemporanea “Controzona” da loro curata. Siamo andati ad intervistarli alla Plip, centrale dell’altraeconomia per scoprire cosa li ha mossi a realizzare un progetto del genere a Mestre.
Dal 2009 vi siete trasferiti a Mestre, città definita dal filoso Massimo Cacciari, “il vero laboratorio della politica”. In che modo il contesto politico si lega al vostro progetto?
Appena trasferiti, abbiamo cominciato ad indagare la città. Elemento caratterizzante di Mestre da quando siamo qua, un po’ per confronti avuti con chi si occupa di urbanistica e con chi progetta, risulta l’evidente e naturale partecipazione del cittadino: tante sono le associazioni, tanti i gruppi e i comitati che agiscono su vari fronti. Si respira questo senso e desiderio di essere parte delle decisioni politiche che vengono prese all’interno della città (le stesse campagne elettorali, ad esempio, si svolgono a Mestre, perché ovviamente il bacino elettorale è qui concentrato). Mestre è la città del “Festival della politica”, nato tre anni fa in piccolo e che è diventato uno degli esperimenti dalla crescita più evidente . Il solo fatto che un festival di questo tipo abbia ricevuto tutta questa attenzione e che venga valorizzato ti dà l’idea di quanto Mestre sia, in questo senso, un luogo significativo.
Oltretutto non bisogna dimenticare Marghera che, con il suo centro sociale “Rivolta”, è stato negli anni ‘90 teatro di lotte e contestazioni per i diritti dei lavoratori. Ci sembrava interessante confrontarci con l’ aspetto politico attraverso la mostra “Drop out”, allestita all’interno di questa struttura, che abbiamo scoperto pian piano, collaborando con gente che ogni giorno si pone, in maniera sostanziale, il problema dell’azione sul territorio. Ci interessava dare spazio al concetto di “rifuggire le convenzioni”, alla possibilità di deviare dalle congetture convenzionali per trovare un nostro personale modello di partecipazione politica. In mostra sono state presentate opere dell’artista palermitano Adalberto Abbate nonché di Petrov Ahner, il quale ha concentrato il suo interesse sulla Tacheles, la storica kunsthaus di Berlino.
Avete concepito la stessa Mestre come “un corpo che ha bisogno della globalità di se stesso per esercitare le funzioni”. Controzona sembra quindi configurarsi come una rassegna tesa a stimolare lo spettatore e l’artista non soltanto a livello politico ma anche a livello corporeo. Diversi sono stati i workshops a Forte Carpenedo, come quello realizzato dall’artista Francesco Nordio, e le performances, ne è un esempio “impasto a Shakespeare” condotto da Alvise Bittente. C’è da chiedersi in che modo gli artisti sono stati preparati ad affrontare e condividere con il pubblico un momento esperienziale così intimo?
La modalità operativa da noi adottata prende forma nel luglio 2012. Quell’anno abbiamo proposto un ciclo di conferenze su un autore, Gregory Bateson, sul quale svolgere tre giornate di studio. Abbiamo invitato un gruppo di quattordici artisti, secondo noi in grado di maneggiare concetti complessi, a mettersi in gioco. Gli artisti, dopo le tre giornate di seminario, sono stati lasciati liberi di elaborare tutto quanto e di sviluppare i loro progetti. Il supporto che in questa fascia temporale loro hanno da noi ricevuto è stato minimo; alla fine ogni artista è stato in grado di elaborare un suo lavoro, esposto poi in mostra.
Quest’anno abbiamo deciso di riproporre la stessa modalità ma abbiamo variato l’autore; abbiamo deciso di indagare la figura e l’operato di Alexandere Lower, lo psichiatra il cui lavoro ci ha particolarmente interessato in quanto durante la sua carriera si è occupato del concetto di corpo.
Abbiamo quindi sottoposto questo gruppo artisti visivi e concettuali, solo alcuni di loro performer, ad un’attenta indagine e dato loro stimoli fisici. Il programma si è sviluppato a partire da un incontro con il prof. Luigi Vero Tarca, docente di filosofia teoretica dell’ Università Ca’ Foscari di Venezia, che ha dato un orizzonte di senso mettendo in discussione il tema dell’unione corpo-mente lungo tutto il ‘900. Due sono poi state le giornate di lavoro nelle sale della Plip, condotte da Paolo Maccagno, esperto di Alexander Lower e del metodo Feldenkrais. Tutto ciò ha detonato una serie di pensieri concettuali e dimensioni fisico-emozionali e che ci interessava porre alla base del nostro processo creativo.
La rassegna di quest’anno è stata concepita come “progetto pilota”, da qui il nome “Controzona numero zero”; è in tale prospettiva che avete proposto una call per l’esposizione “The other places that don’t exist any longer” di Rebecca Agnes. Ma parliamo anche del progetto “private houses” , una delle idee sulle quali state già costruendo Controzona 2014.
È giusto considerare Controzona come una prova generale; vorremmo che questa rassegna non si concludesse con la chiusura, piuttosto l’obiettivo sarebbe portare in altre città europee una mostra come “Drop out”, con l’intento di una collaborazione da parte del maggior numero possibile di artisti, in modo che tra un anno questa ritorni a Venezia con vissuto aggiunto.
Passiamo parecchio tempo a Berlino, città in cui “sverniamo” ; siamo quindi sempre attenti agli stimoli offerti da una luogo del genere. Ci ha incuriosito, partecipando in veste di artisti al festival “48 hours”, il fatto che una rassegna potesse svilupparsi tra gallerie, spazi privati, case e spazi pubblici. L’esperimento “private houses” prenderà le mosse da questa idea: riuscire a trovare una rete di appartamenti entro la primavera 2014, non per una semplice esposizione ma una simbiosi di luoghi e momenti. Nei prossimi mesi realizzeremo una call, sperando in un feedback da parte della gente!
Giulia Colletti per ArtsLife
24 ottobre 2013