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P.L.U.T.O. 11-07-2025

​​WHAT DOES IT MEAN TO BE HUMAN? - L'UMANO E I VENDITORI DI FUMO

di Penzo+Fiore

Foto
Foto archivio degli autori - 2025
Allo spazio Sparc*, mostra Fluid Metter Humanature curata da Dario Dalla Lana, Francesca Giubilei, Cosima Montavoci e Lorenzo Passi, abbiamo presentato una nuova scritta di chiodi, per la prima volta una domanda: “What does it mean to be human?”
Una domanda urgente, fondamentale, emersa dalle viscere ferite di un’umanità impazzita che permea le nostre esistenze in questo momento storico folle. I venditori di fumo saliti al potere stanno facendo lo scalpo a chi aveva chiaro in testa quali fossero i requisiti di un mondo giusto, sano, in cui valesse la pena vivere e rifondare quotidianamente la propria idea di umanità.
Nostro figlio ci ha chiesto, ieri, cosa significasse essere umani. Lo ha fatto con la spontaneità del bambino che vuole davvero saperlo, ignaro dei mille riverberi di questa domanda. E allora sì, abbiamo cominciato a cercare una risposta.
La risposta ci portava verso la bellezza, verso il senso. Essere umani significa riuscire a stare in ascolto. Vuol dire avere compassione, trovare in sé la parte empatica che può dialogare con altri umani. Significa rispettare l’altro, il suo lavoro, i suoi sacrifici. Accettare le sensibilità altrui, capirne le urgenze e non calpestarle.
Oggi più che mai, significa chiamare genocidio ciò che è genocidio, cercare la verità dei popoli contro le follie dei loro governi. Significa uscire dalle logiche del potere, dei soldi, del proprio tornaconto personale, per difendere valori più alti, universali, condivisibili.
Attenzione però: ci si deve poter permettere di usare queste parole. Non basta pronunciarle, non basta l’intenzione, né il predicare come sanno fare i venditori di fumo. Bisogna partire dalle basi, ricordare alla nostra umanità in fiamme che serve un paradigma personale di equità e rigore morale per rifondare l’idea stessa di umanità. Non basta predicare, bisogna controllare di fronte a se stessi, unici giudici davvero sinceri di ciò che facciamo, la propria condotta.
Non è un’epoca che possa permettersi sotterfugi. Non è un’epoca da attraversare con la leggerezza dei decenni che ci hanno preceduti, quelli che hanno preparato l’avanzata delle destre, lo scollamento dalla realtà, la perdita di milioni di giovani, sciolti nella paura e avviluppati nei social.
Non è epoca per restare fermi a guardare, per tollerare azioni ingiuste, brutte, disumane. Per questo, quando in tempi recenti ci siamo sentiti dire “come fate a dire cose in cui non credete?”, ci è ribollito il sangue. Perché di una cosa siamo certi: diciamo sempre ciò in cui crediamo, profondamente e sinceramente. Il problema, a volte, è incontrare persone non abbastanza acute da vedere i contorni del mondo che si sono create. Vittime dei venditori di fumo che millantano, trasformano, edulcorano, truffano, convinti di poterla sempre fare franca.
Qui sta la necessità di fare gli artisti nella vita. Qualcosa che non scegli ma che ti capita addosso, a cui cedi le armi, a cui cerchi di sottrarti quando diventa troppo totalizzante. Perché a volte fare gli artisti è così esistenziale da toglierti il fiato.
Quello che ti motiva e ti porta a resistere nella tua posizione sciamanica non sono i soldi. Mai. Non sono logiche di potere, né desiderio di carriera. Quelli non sono artisti, ma mestieranti, e non possono avere dimora nel mondo come lo intendiamo noi. Anche se i soldi vanno pretesi, perché dare a chi ha dato è un dovere morale prima ancora che un diritto.
Essere, e non solo fare, gli artisti significa voler stare al mondo con quella parte sensibile e radicata in sé così profondamente da rendere esistenziale ogni scelta, anche la più banale, pur di raggiungere quel punto di tensioni ed equilibri che potrà definirsi, ed essere accettato, come opera d’arte.
Da questa prospettiva noi interpretiamo l’umano. Essere umani, per noi, significa non scendere a compromessi. Sbagliare, a volte, nella convinzione di poter cambiare le cose, di poter incidere, ma pronti a modificare la strada quando le regole diventano estranee a ciò in cui crediamo. Significa fare quello che ogni giorno facciamo: passare notti in bianco a cercare un modo di trasformare disagio, sofferenza, scorrettezza, mancanza di amore in qualcosa che incida nei contesti che abitiamo. Noi siamo i costruttori, i fautori della nostra vita e del nostro destino. Sempre.
Adesso è un momento in cui bisogna affilare le armi, chiamare a raccolta tutto il coraggio e la forza possibili per lottare contro le tenebre che stanno offuscando il nostro inconscio collettivo, cancellando la natura stessa del nostro essere umani e portandoci a una deriva che dobbiamo volere evitabile.
Nel quotidiano come nelle battaglie politiche bisogna farlo. Nelle riunioni, quando ci sediamo a un tavolo con chi ha anche solo un briciolo di potere, bisogna farlo. Quando parliamo con chi ha meno strumenti di noi, bisogna farlo. Sempre, con la guardia alta e la dignità di chi può dirsi veramente onesto in quello che fa.
Gli artisti sanno di cosa parliamo. Schiena dritta, sguardo fiero. Sdoganiamo alcune parole, rifondiamo un lessico che non sia tutto fiocchetti e politically correct. Facciamolo per ottenere, con dignità e convinzione, un mondo migliore di questo, per andare verso qualcosa in cui credere e riconoscersi.
E quando i nostri figli ci chiederanno cosa significhi “essere umani”, prendiamoci il tempo di rispondere con calma, con convinzione, con il peso delle parole che stiamo pronunciando. Perché stiamo piantando semi in un prato che, prima o poi, darà i suoi fiori.
​Ringraziamo sempre, con infinito rispetto, la comunità di artisti che sentiamo presente intorno a noi, a cui chiediamo di condividere progetti, tempo, sensibilità. Ringraziamo per la fiducia che dimostrano nel collaborare e per la bellezza di potersi capire. Con loro continueremo a seminare idee, passione, urgenza.
A volte ciò che abbiamo intenzione di creare si crea. A volte no. Ma sempre, nei percorsi che facciamo, c’è un senso, e nelle maglie del setaccio rimane chi ha una sensibilità affine, uno sguardo pulito, il desiderio di continuare a tenere alta la dignità di una pratica che non è un semplice mestiere, ma un modo di vivere, un modo di vedere il mondo, un modo per costruire quel mondo. Qui siamo, in questo punto del nostro cammino, e qui l’unica domanda possibile era ed è “What does it mean to be human?”.
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